Le strade strette, i vicoli in salita, le piccole piazze del Rione Sanità hanno storia antica e suggestioni del nostro tempo, i “bassi” che vi si affacciano in susseguirsi ostinato segnano il tempo e la storia, la memoria di una letteratura fantastica e di una cronaca di non liete avventure metropolitane. Labirinto napoletano, il quartiere popolare e popoloso ospita da tempo il lavoro di Mario Gelardi e della sua appassionata squadra di “teatranti”.

Giovani ed entusiasti, vi si sono radicati immaginando storie da mettere in scena nella loro “casa” di Piazzetta San Vincenzo diventato teatro di quartiere prima e poi della città più pronta all’offerta di una drammaturgia d’attenzione. Ogni tanto Gelardi ed i suoi si concedono piccole fughe ed invadono con successo altri spazi. È stato così per il “Do not disturb” che ha invaso le camere di hotel raffinati con storie avvincenti ed ambigue diventando un “must” atteso da un pubblico di “fedeli”. Ora invece è la volta di “Tur de vasc'” – “Storie nuove”, spettacolo site-specific del Nuovo Teatro Sanità che porta in giro gruppi di spettatori alla scoperta di un teatro diverso, costruito e rappresentato nelle case accoglienti. Ideato e diretto da Carlo Geltrude per spettatori portati in giro tra i “bassi” mette in scena brevi testi scritti dai giovani che hanno preso parte al progetto “Scritture di scena” guidato da Mario Gelardi e riconosciuto dal Mibac come “attività di formazione.
Esperimento su cui puntare certo, ma dal successo non scontato. Ecco che i due giorni di repliche, ripetute in successione tre volte, vedono pronto l’accorrere degli spettatori e forte l’accoglienza del quartiere altre volte scontroso.
In gruppo ci si incontra davanti all’antica Chiesa, in gruppo si parte come per un’avventura notturna, e la pioggia non scoraggia i viandanti. Ci si inerpica per i vicoli stretti, per le salite vertiginose dei “Cristallini”, ci si ferma affannati ubbidendo alle intimazioni degli “accompagna-tur”, Vincenzo Antonucci e Gaetano Migliaccio. Si sussurrano raccomandazioni ai compagni come per una vacanza trasgressiva in vicoli attraversati dalla corsa dei motorini, occupati da auto che a stento ci passano. Questa sera, per “?echov dint’ ‘o vasc”, le storie rappresentate si ispirano ad altre scritte da Anton ?echov. Si giunge finalmente al primo dei tre “bassi” previsti dal programma. Piccolo spazio dove a stento ci si fa spazio, casa accogliente capace di contenere persone ed emozioni gridate come per uno scontro furibondo. Una donna ai fornelli cucina una pasta e patate, un giovane impreca disperato e furente.
Nel basso va in scena la memoria cecoviana de “L’orso”, ripensato da Gennaro Esposito che l’ha trasportato abilmente in altro spazio, altra temperatura, altra emozione, altro tempo, affidando a Lalla Esposito, attrice raffinata ed ancora una volta magnifica, l’incarognita storia di un tradimento mascherato d’amore. Al suo fianco Riccardo Ciccarelli è bravissimo, corpo che vibra, cattivo e disperato nella ricerca di un denaro necessario alla vita, tenero e disarmato davanti al terrore e ad un sogno d’amore che lo perderà. È storia che si nasconde nelle pieghe di una plausibile verità, che confonde ed emoziona il pubblico che può chiedersi, a ragione, se per caso non sia entrato per errore nella casa sbagliata.
È teatro ce si ripete nel “basso” più avanti, per il gioco violento della disperazione d’amore portato in commedia per “‘O Spusalizio” che Noemi Giulia Fabiano ha scritto ispirandosi alla celebre “Domanda di matrimonio”, ed è sorriso ed eccesso di speranze e illusioni per un matrimonio che potrebbe essere felicità ed è miserabile espediente di sopravvivenza affidato all’ironia coinvolgente di Agostino Chiummariello ed Anna De Stefano. Si continua nel gioco per giungere alla terza “tappa”. Ed è altro “basso” differente per presenze inquiete, per arredi e disagi.
Qui Sergio Longobardi, Alessio Galati riprendono il tessuto de “I danni del tabacco” che Michele Brasilio ribattezza “Sali e Tabacchi”, affidando la logorroica eloquenza del protagonista alla malinconia struggente di Sergio Longobardi e l’impertinenza del giovane ascoltatore ad Alessio Galati. Si applaude quasi a disagio, quasi ad essere stati “voyeur” indiscreti, testimoni involontari di intimità da non riferire. Si va via mormorando saluti e complimenti. Ci si ritrova nella piazza a mangiare insieme una “panzarotto”. Ed è teatro che si ripeterà ancora altre volte.